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Digitando, digitando... n. 61/2023 del 22.05.2023

Apertura

Hello into a Mac

Quel simpatico parallelepipedo a sviluppo verticale, appendice a forma di topo,
schermo bianco, tastiera e fessura per i microfloppy.

di Andrea de Prisco

«Con questo era particolarmente divertente, nonché molto facile, fare tutto: tutto ciò che un computer sa fare, che un utente possa desiderare, e tant'altro... compreso molte cose che gli "altri" non fanno o non fanno con altrettanta facilità. Nacque così la filosofia Macintosh: tramite mouse possiamo interagire facilmente col sistema operativo, coi programmi e con le periferiche della macchina. Il tutto nel modo più intuitivo possibile, manipolando oggetti visibili e (attraverso il mouse) tangibili».

Più o meno era quello che pensavo, e riportavo, nella prova su MC del Macintosh II del 1987, finalmente a colori e dall’architettura aperta. Mi riferivo chiaramente al capostipite, nato pochi anni prima… anche se all’epoca, tre anni circa già sembravano un’eternità. Ne parlavo al passato, come se si fosse voltata definitivamente pagina, ma così non fu.

Il Mac originale, nelle sue numerose reinterpretazioni classiche, è durato in tutto (ben) dieci anni: dal gennaio 1984 quando il primo modello fu presentato in pompa magna da Steve Jobs in persona, fino al 1993 con il Macintosh Color Classic II commercializzato fino, appunto, al 1994.

Riavvolgendo, e di molto, il nastro… scopriamo però che inizialmente questa macchina tanto rivoluzionaria tutto doveva essere tranne un “Mac” come quelli che conosciamo. Jeff Raskin, nome forse poco noto ai più, era a capo di un progetto Apple del 1979, all’origine denominato “Annie”. Fu lo stesso Raskin a ribattezzarlo più avanti “Macintosh”, si narra perché ghiotto delle famose mele quasi omonime, dal sapore acido … 🤔

Cosa ho detto di male?!? 🤣

Lasciamo perdere, sentiamo Zia Wiki: «… la macchina - Project “Annie”, ndr - era simile per potenza all'Apple II e includeva un piccolo display a caratteri in bianco/nero da nove pollici e un floppy disk, il tutto in un case compatto. Era solo testo poiché a Raskin non piaceva il mouse o qualsiasi altra cosa che potesse staccare le mani dalla tastiera.  Nella macchina erano integrate numerose applicazioni di base, selezionabili tramite tasti funzione. La macchina includeva anche una logica in grado di comprendere le intenzioni dell'utente e selezionare i programmi dinamicamente. Ad esempio, se l'utente iniziava a digitare testo si attivava la modalità editore, se digitava numeri si attivava la modalità calcolatrice. In molti casi questi cambi applicazione sarebbero stati in gran parte trasparenti all'utente».

Raskin pensava comunque a un computer molto evoluto, benché piccolo ed economico, ovvero dal prezzo di vendita inferiore a 1000 dollari: anche per questo si era scelto di basarlo sul processore Motorola 6809. Purtroppo - o per fortuna - nel 1980 l’inarrestabile Steve Jobs, da poco defenestrato dal gruppo di sviluppo Lisa, iniziò ad interessarsi al progetto Macintosh ancora in via di definizione. Fu infatti lui a imporre agli altri membri del team il passaggio al Motorola 68000, microprocessore ben più potente, minimo indispensabile per poter supportare l'interfaccia grafica derivata da quella vista allo Xerox PARC, alla quale non voleva rinunciare. Ci fu evidentemente uno scontro con Raskin, sappiamo come andò a finire… 😁

Rispetto al Lisa, che l’aveva preceduto appena un anno prima, e di cui il Mac non fu una evoluzione (i due progetti furono sviluppati in buona parte parallelamente) le differenze non erano poche. Non ultimo il prezzo di lancio che per il Mac era quattro volte inferiore, circa 2.500 dollari contro i 10.000 del Lisa: una differenzina non da poco, obbiettivamente. L’architettura era un po’ più chiusa, non che quella del Lisa fosse apertissima (ma almeno quest’ultimo aveva tre slot di espansione), e guardava avanti per alcune scelte di base, come l’impiego di meccaniche floppy disk da 3,5’’, una rottura a quei tempi. Rottura in senso positivo, tranquilli! 😜

Un paio di anni dopo - tenetevi forte! - fu approntato per il Mac originario, ovviamente non da Apple, finanche un sidecar simil-Amiga per la compatibilità IBM. Si chiamava MacCharlie - con riferimento a Chaplin/Charlot “testimonial” di Big Blue al lancio della loro macchina - ed era praticamente un intero PC a portata di… porta seriale, da pilotare tramite Mac in modalità terminale solo testo. Non ebbe molto successo.

Ma va?!?

 


 

Quasi trent'anni e non sentirli. A destra un (bel) iMac del 2013.

 


 

L'unica cosa rimasta invariata, come ci ricorda iFixit, è il connettore di alimentazione!

 


 

Il Mac originario in configurazione "esplosa".
Notare la scheda logica più compatta di quella... analogica!

 


 

All'interno del cabinet erano presenti le firme dei componenti del team di sviluppo, inclusa (ovviamente) quella di Steve Jobs.

 


 

Il "sidecar" dove meno te l'aspetti. Il MacCharlie (ovviamente NON di produzione Apple) era un emulatore hardware per renderlo compatibile PC IBM, con tanto di "estensione" pacchiana per la tastiera. Direi di stendere un pelo vietoso...  
 

 



 

:-)

 


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