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Digitando, digitando... n. 48/2023 del 21.04.2023

Apertura

Apple III: “quasi”, dai!

Il terzogenito della Mela, storia canta, non fu un successone e nemmeno un successino.
Per i tempi sbagliati e per alcune criticità tecniche.

di Andrea de Prisco

Tanto per essere ancora più incisivi, si potrebbe definire come uno dei pochi Apple riusciti male. L’intento era quello di lanciarsi a capofitto nel mondo Small Business, preoccupati a Cupertino dal fatto che il successo travolgente dell’Apple II non sarebbe continuato all’infinito. Diventava urgente proporre qualcosa di nuovo e di diverso.

Il risultato fu una macchina piuttosto costosa, innovativa per certi versi, per altri un po’ troppo imbrigliata al passato. Ad esempio il processore era ancora il 6502 - per quanto operante a una frequenza di clock maggiore - e anche l’architettura in sé non era molto distante dalla precedente, seppur potenziata ove possibile. La RAM di base era pari a 256 KB ma, per i limiti stessi dell’indirizzamento a 16 bit, veniva vista come 4 banchi da 64K. La ROM viceversa era di appena 4K e il sistema si “guidava” a colpi di floppy disk. Sia il sistema operativo che qualsiasi linguaggio di programmazione doveva essere caricato a mano da dischetto prima di ogni utilizzo, a meno di non disporre del “prezioso” Apple ProFile, un hard disk esterno da 5 MB venduto a circa 3.500 dollari. Che tempi!

Apple SOS (nome, anche quello, non proprio azzeccato) stava per Sophisticated Operating System. Voci di corridoio indicano che inizialmente stesse per Sara’s OS: “Sara” oltre, ad essere il nome in codice della macchina in fase di sviluppo, era il nome della figlia di Wendell Sanders, primo responsabile del progetto. L’Apple SOS, a differenza del precedente Apple DOS, accedeva alle risorse indirizzandole per nome piuttosto che per indirizzo fisico, lasciando una sufficiente libertà di scegliere lo slot in cui installare le schede aggiuntive. Vi fa sorridere? Beh, anche questo non si poteva, anticamente, dare per scontato.

Molto diversa dal solito era la costruzione. Dovendo rispettare rigide norme FCC sulle emissioni, l’intero chassis era in alluminio pressofuso e non essendo presente alcuna ventola di raffreddamento al suo interno faceva esso stesso, nel suo insieme, da dissipatore termico per l’intero computer.

Fu una scelta fortemente voluta da Steve Jobs che, seppur interessante sotto il profilo filosofico, in realtà creò non pochi problemi: molte macchine “tornavano indietro” proprio per malfunzionamenti dovuti al surriscaldamento. In pratica per via del calore la scheda elettronica tendeva ad incurvarsi e alcuni chip su zoccolo non facevano bene contatto sfilandosi in parte dalle loro sedi. Una soluzione temporanea, suggerita dalla stessa Casa madre, era quella di sollevare il computer di qualche centimetro e lasciarlo cadere sul tavolo per dare un aiutino ai contatti in difficoltà, con questo colpo assestato: a mali estremi, estremi rimedi.

Che dire? Da Apple una cosa simile non me la sarei aspettata… ma pare così sia andata!

La sua vocazione spiccatamente business si ripercuoteva negativamente in altri ambiti, come quello scientifico dove l’Apple II si trovava totalmente e suo agio. La precisione matematica del III era piuttosto limitata: solo 6 cifre significative con esponenti da 10-38 a 10+38. Tra gli altri tipi di dato previsti c’erano anche i long integer a 19 cifre. Su questi era possibile effettuare le sole quattro operazioni di base, ma non potevano essere “mischiati” nei calcoli con i primi. Insomma, provare a scavalcare con la nuova macchina il recinto business diventava un’impresa quantomeno sconsigliabile, per usare un eufemismo.

Per fortuna, mettiamola così, era possibile utilizzare l’Apple III anche in parziale emulazione del II, cosa pressoché indispensabile per via dei pochi software disponibili specifici del nuovo nato. Anche per questo l’unità FD integrata utilizzava lo stesso formato “minimalista” dei Disk II, in grado di memorizzare appena 140 KB su ogni dischetto singola faccia, singola densità. Dettaglio, ma anche limite, che gli consentiva di accedere facilmente - bell’affare! - a buona parte del vastissimo parco software disponibile per la macchina precedente.

Una storia triste, diciamolo.

 

 


 

 

L'Apple III in configurazione "espansa". A sinistra la stampante termica SilentWriter, sotto al monitor il "prezioso" hard disk Apple ProFile, a destra un Disk III aggiuntivo.

 


 

Togliendo il coperchio superiore si accedeva all'interno. Al centro i 4 slot di espansione.
La tastiera, nonostante sembrasse separata, faceva corpo unico con il sistema.
Erano gli utenti che dovevano essere "ergonomici" nei confronti dei computer di allora.

 


 

La stsuttura interna, un blocco unico in pressofusione di alluminio. Sul retro è ben evidente il look da mega aletta di raffreddamento

 



 

:-)

 


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