Digitando, digitando... (clicca per tornare alla pagina precedente...)

Articolo pubblicato su www.digiTANTO.it - per ulteriori informazioni clicca qui


Digitando, digitando... n. 32/2023 del 15.03.2023

Apertura

Quando i bit… potevi toccarli!

Se le auto si fossero evolute come i computer, oggi per fare mille km basterebbe una goccia di benzina e sarebbero grandi… pochi millimetri!

di Andrea de Prisco

Battute a parte, sono almeno una cinquantina d’anni - ovvero da quando ero bambino - che mi godo il progresso tecnologico da vari punti di vista, non ultimo quello della miniaturizzazione. Tantissime “cose” anno dopo anno sono diventate sempre più piccole, in alcuni casi anche troppo… rendendone difficoltoso finanche l’uso. Ad esempio quando la competizione era a chi ce l’aveva più piccolo, riferito ai telefoni cellulari che, per quanto invidiabili status symbol, rasentavano spesso l’inutilizzabilità.

In altri casi la miniaturizzazione, col passare degli anni, non era direttamente visibile. Ad esempio che i microchip all’interno di un dispositivo fossero sempre più piccoli o, per meglio dire, che fossero sempre più piccoli i transistor integrati negli stessi, non essendo una questione direttamente tangibile passava in secondo piano. Pur non essendo affatto una faccenda secondaria!

Provando a riavvolgere totalmente o quasi il nastro - ovvero a scorrere il tempo in senso contrario - cosa troveremmo svariate decine di anni fa? Diciamo al ground zero (o quasi) della miniaturizzazione?

L’ingrandimento delle “cose” sarebbe così evidente che… i bit potevi vederli a occhio nudo e, volendo, finanche toccarli singolarmente con mano. O se non proprio “con mano” di sicuro con una pinzetta.

Sto parlando, come intuibile, delle memorie a nuclei di ferrite che riempivano (nel vero senso della parola) i grossi computer degli anni 50-60, prima dell’avvento di altre tecnologie, alcune ancora vive e vegete ai giorni d’oggi.

Erano composte da un numero più o meno grande di minuscoli anellini, disposti su un’area rettangolare: ognuno di questi (che rappresentava e memorizzava esattamente un bit) era attraversato da più fili elettrici. Nella maggior parte dei casi trovavamo fili orizzontali, fili verticali più un importante filo unico diagonale, sul quale torneremo, che attraversava tutti i nuclei.

Come avveniva la memorizzazione, quindi la scrittura? Se nel filo che attraversava un nucleo di ferrite si faceva passare una corrente maggiore o uguale a un certo valore ‘i’, questa generava un campo magnetico sufficiente a magnetizzarlo permanentemente. Se la corrente sul filo diminuiva o si annullava, il nucleo rimaneva magnetizzato, mantenendo cioè l’informazione in questione (che è un valore binario, riconducibile ai classici 1 o 0). Se si mandava invece una corrente pari a ‘-i’, il nucleo si magnetizzava con la polarità opposta, pertanto associando i valori 1 e 0 ai due possibili versi di magnetizzazione - rispettivamente ottenuti da ‘i’ e ‘-i’ - avevamo realizzato una vera e propria memoria. Restavano due problemi: come polarizzare un determinato nucleo senza coinvolgere gli altri presenti nelle sue vicinanze e come leggere, parimenti, l'informazione lì memorizzata? Il primo problema era abbastanza semplice: disponendo di fili orizzontali e fili verticali che incrociano tutti i nuclei, per magnetizzare ad esempio quello di coordinate (3,2), ovvero terza colonna seconda riga, si mandava sul filo verticale 3 e sul filo orizzontale 2 una corrente per ognuno pari a ‘i/2’ o ‘-i/2’. Solo nel nucleo interessato passava corrente per un totale di ‘i’ o ‘-i’ (sufficiente alla magnetizzazione in uno dei due versi) trovandosi solo questo all'incrocio dei due fili. Semplice, no?

Per quanto riguarda lettura l'affare si complica un po', ma ci viene in aiuto il filo diagonale prima citato. Si mandava una corrente complessiva pari a ‘-i’ (col solito metodo dei fili orizzontale+verticale) al nucleo da interrogare. Se questo era già magnetizzato in tal verso, non accadeva nulla. Se invece era stato magnetizzato da una corrente ‘i’, la smagnetizzazione e la successiva magnetizzazione nel verso opposto provocava a sua volta una variazione del campo magnetico all'interno del nucleo che induceva esso stesso una corrente che avremmo potuto misurare sul filo diagonale. Riassumendo, se mandando ‘-i’ a un certo incrocio si rilevava un impulso sul filo diagonale allora in quel nucleo c'era "scritto" un 1, altrimenti 0.

Naturalmente, l'operazione di lettura era distruttiva in quanto corrispondeva a sovrascrivere il valore 0 e vedere se fosse successo qualcosa. Per ovviare a questo inconveniente un apposito circuito di ritardo (non mostrato in figura) provvedeva banalmente a riscrivere quanto appena letto.

E vissero tutti, per un bel po’ di anni, felici e contenti!

 

 


 

I nuclei di ferrite, qui rappresentati schematicamente, erano attraversati da fili orizzontali, verticali più un filo unico diagonale utilizzato insieme agli altri per la lettura.

 


 

Un modulo di memoria a nuclei magnetici da 4096 bit utilizzato negli anni 60 dal CDC 6600.

Rappresentavano, a loro volta, un primo importante successo di “miniaturizzazione”. Prima di queste, i bit, erano ancora più ingombranti!



 

:-)

 


Articolo pubblicato su www.digiTANTO.it e su Facebook. Per ulteriori informazioni clicca qui