Articolo pubblicato sul n. 150 di MCmicrocomputer (Edizioni Technimedia Srl - Roma) nell'aprile 1995

MCmicrocomputer


14 anni extra MS-DOS

di Andrea de Prisco

Sono, devo ammetterlo, un imperdonabile disordinato. Sulla mia scrivania in Technimedia il caos ha un andamento "a dente di sega". Aumenta in continuazione, con una progressione lineare, fino al punto in cui non vedo piu' l'orizzonte attorno a me e dico basta. Cosi' dedico una buona mezza mattinata a mettereCopertina del numero di MCmicrocomputer contenente l'articolo in ordine, si fa per dire, e butto tutto insieme quello che avrei potuto "archiviare" man mano che giungeva sul mio tavolo. Tanto per non fare nomi (adesso entriamo nel pettegolezzo extrasettore) la stanza di Marco Marinacci e' affetta da entropia ipergalattica con il caos che aumenta sempre. Sempre! Nel senso che Lui (con la "L" maiuscola per la nota legge del capo, articolo 11),  essendo piu' paziente di me non dice mai basta per "archiviare" tutta quella roba nello stesso modo (capito quale?).

Vi racconto questi fatti per riallacciarmi ad un tanto agognato "BASTA!!!" da me proclamato proprio ieri e riguardante il recupero di tutti i file dei miei articoli piu' vecchi, abbandonati (si fa per dire) nell'hard disk dell'Amiga che non accendevo piu' dall'ormai lontano 1992. Curiosando nelle directory (tra l'altro non ricordo piu' una sola parola di AmigaDOS, e dire che per quella macchina scrivevo programmi multitask!) mi sono accorto, e quindi ricordato, che molti anni prima avevo effettuato la stessa operazione di trasferimento-recupero articoli dal Commodore 64 all'Amiga. Il tutto grazie ad un emulatore software, altrimenti erano dolori!, che permetteva addirittura il collegamento diretto del drive 1541 (l'unita' floppy disk del 64) alla porta parallela Amiga.

Cosi' una volta tanto, invece di rimettere ordine sui miei due tavoli, ho impegnato una mattinata (intera) per trasferire file invece di "archiviare" comunicati stampa, lettere, inviti, brochure, opuscoli, auguri di Natale e quant'altro vive e vegeta sulle scrivanie di tutta la redazione.

Controllando uno per uno l'effettiva leggibilita' dei file dei miei articoli, involontariamente, ho messo il naso in quasi una decina d'anni di anni di informatica personale (83-92) vissuta, quanto basta, alla larga dal mondo MS-DOS.

 

I vecchi tempi

 

Erano i tempi del Commodore VIC-20 (molti dei nostri lettori, probabilmente, non se lo ricordano piu'), primo vero computer nato per scopi domestici, frutto di una radicale semplificazione di un protozoico personal computer (qui siamo addirittura negli anni settanta) di nome PET. A quei tempi si parlava di calcolatori per uso familiare, con i quali la mamma programmava e inventava ricette di cucina, il babbo controllava le spese mensili e gli estratti conto bancari e i figli giocavano allegramente con uno o due joystick ai vari "PacMan" e "Invaders", una volta tanto, a colori. Questo, a dire il vero dipendeva dal televisore di casa, visto che per rendere l'oggetto piu' facilmente a buon mercato non era praticamente contemplato l'acquisto di un monitor in quanto si poteva utilizzare lo schermo televisivo domestico attraverso l'ingresso antenna di questo ed un terribile modulatore UHF fornito a corredo col computer.

Acquistato il "coso", il piu' delle volte la delusione era assoluta, visto che all'accensione semplicemente veniva proposto uno schermo vuoto con la scritta "READY", mentre c'era davvero poco da ridere. Il manuale infatti spiegava come scrivere da soli i programmi (solo i "giochini" facevano eccezione essendo disponibili sotto forma di cartucce plug and play), fornendo alcuni esempi da ricopiare manualmente, nell'unico linguaggio di programmazione disponibile all'epoca per quei computerini e che ha fatto anch'esso storia dell'informatica personale di quegli anni: il BASIC. Scritti o ricopiati i programmi, l'unita' di memorizzazione propria di quei tempi (e di quel tipo di computer) era nientepopodimeno che il registratore a cassette. Minuti e minuti per caricare o salvare, incrociando sempre le dita, pochi Kbyte di programmi o dati.

Piu' o meno contemporaneo al VIC-20 era lo ZX-81 della "mitica" Sinclair. Era un po' meno "computer" del suo concorrente a causa delle sue ridottissime dimensioni da record e dell'insopportabile microtastiera a sfioramento (si fa per dire) ai cui tasti erano associate anche quattro funzioni diverse richiamabili attraverso appositi prefissi. Il vantaggio era rappresentato dal fatto che "tra le righe" trovavamo anche i comandi BASIC pronti all'uso e quindi l'utilizzo della tastiera, inteso come quantita' di "sfiorate" necessarie alla stesura di un programma, era per fortuna assai limitato. L'importante era prenderci la mano, poi si correva da dio.

Un po' come gli italiani anni '50 divisi tra Coppi e Bartali, Milanisti-Interisti o Romanisti-Laziali di ieri, di oggi e (ahime'!) di sempre, il duello Commodore-Sinclair spacco' (non so se in parti uguali, ma poco importa) l'utenza degli smanettoni di allora secondo due precise scuole di pensiero che, di li' a pochi anni, portarono rispettivamente agli "aficionados" del 64 e dello Spectrum. Entrambi i sistemi offrivano maggiore memoria RAM, una visualizzazione piu' colorata e/o piu' grafica sempre sul televisore di casa e l'accesso a periferiche ben piu' evolute, come un piccolo plotterino a colori per il 64 o gli stranissimi microdrive a nastro per la memorizzazione di dati e programmi dello Spectrum. I "Commodoriani", da questo punto di vista, contavano gia' da un pezzo sui floppy disk da 5.25" grazie all'allora disponibile unita' disk drive, lenta come una lumaca, e dal costo addirittura superiore a quello della macchina, VIC-20 o 64.

Esisteva una vera e propria "passione" per il proprio computer: benche' io avessi piu' di vent'anni (e quindi non ero certo un ragazzino) mi rammaricavo di non aver due anni di meno per poter dire esser nato nel '64. Non ero ragazzino, ma ero proprio cretino!

 

Le alternative

 

A tentare di ostacolare l'avanzata Commodore-Sinclair, nelle varie fasi evolutive dell'informatica pseudo domestica, ci furono molti computer: alcuni ancor oggi noti ai veterani, altri addirittura dimenticati perfino da noi stessi che ne abbiamo parlato sulle pagine di MC!

Del gruppo "comunque indimenticabili" c'e' da annoverare il Texas Instruments TI-99/4, provato sul numero 10 di MC (siamo al giugno '82). Tra le sue caratteristiche "importanti" e' da citare la disponibilita', quantomeno dichiarata, di svariati titoli software (specialmente linguaggi di programmazione, tanto per cambiare) sotto forma di cartucce da inserire in un apposito alloggiamento frontale. Dall'alto del suo microprocessore a 16 bit, il TI-99/4 puo' vantare su una potenza di calcolo superiore alla media, ma la caratteristica che lo rende realmente unico e' la sua possibilita' di sintetizzare la voce umana attraverso (cito esattamente le parole di Corrado Giustozzi, autore della prova) "un modulino speech syntesizer col quale si possono programmare successioni di suoni in modo da formare delle parole". Se non e' fantascienza questa!

Altro computerino "mitico" e' stato senza dubbio l'Atari 800 nelle due versioni liscia ed XL. L'800 prima maniera era addirittura antecedente al VIC-20 e fu provato (rullo di tamburo!) sul numero 1 di MCmicrocomputer. Per la versioni XL dobbiamo aspettare fino al giugno 1985, provato assieme al neonato 130XE da cui derivarono le macchine a 16 bit denominate ST (che stava proprio per SixTeen). Specialmente in Italia, l'Atari non ha mai avuto un grande successo, se non in ambito musicale (con un fenomeno di dimensioni esplosive ma di non troppo lunga durata) grazie proprio al fatto che gli Atari ST disponevano di serie di una porta MIDI atta a pilotare strumenti musicali elettronici di ogni genere. In ogni caso, l'Atari ST ha avuto il grande merito di proporre un'interfaccia ad icone, display grafico anche in modalita' testo, finestre, mouse ecc. ecc. in un computer di costo contenuto, ben inferiore a quello dei Macintosh (di cui parleremo alla fine) troppo posizionati in ambito professionale.

Per la serie "Chi la visto?" possiamo citarvi l'Acorn Atom, acerrimo nemico in terra d'oltre Manica del Sinclair ZX-81. Provato sul numero 11 di MC, settembre '82, l'Atom poteva essere acquistato nella sua versione base accreditata di ben 8 K di ROM e addirittura 2 (diconsi "due") Kbyte di RAM per la modica cifra di 439.350 lire piu' IVA. Tutto il resto era a parte, come la RAM (9.100 lire per ogni kappa), l'obbligatorio alimentatore stabilizzato, una Floating Point... ROM, senza la quale l'Atom si fermava alla sola aritmetica intera. Anche la scheda PAL era opzionale, cosi' come la porta parallela (chissa' se era standard?). Molto interessante era la rete Econet che consentiva il collegamento di ben 255 Atom in grado di condividere dati e periferiche. Successore dell'Atom fu l'ancor piu' sconosciuto "Electron" (cfr. MC n. 29) potenziato per quel che riguarda la grafica (ben sette modi grafici, fino alla strabiliante risoluzione monocromatica di 640x256, mezza VGA) e per la capacita' di memoria: 32 K di ROM e 32 K di RAM di cui 28.5 disponibili per l'utente. Tramite due soli comandi, SOUND e ENVELOPE, e i loro parametri era possibile modellare la forma d'onda di un segnale musicale per la gioia delle nostre orecchie. Il vero salto in avanti, l'Acorn lo fece nel 1987 con il ben piu' noto e diffuso Archimedes, la prima macchina di quella categoria utilizzante un microprocessore RISC (Reduced Instruction Set Computer) tanto di moda oggi, vedi PowerPC, e presentato dalla casa costruttrice come il "Personal Computer piu' veloce al mondo". Certo, l'Archimedes correva proprio tantissimo ed e' un vero peccato che, almeno qui in Italia, non abbia attecchito come meritava. Purtroppo e' arrivato in piena rivoluzione Amiga, e veniva offerto ad un prezzo di vendita superiore ai due milioni di lire, oltre l'IVA.

Tornando ai primi anni di MCmicrocomputer (n. 17), chi si ricorda del NewBrain? Era costruito dall'inglese Grundy Business System Limited (un giapponese esclamerebbe "Kicatse'?") e gia' a quei tempi non si capiva cosa fosse. Non era un pocket computer perche' non era autoalimentato. Non era un "portable computer" poiche' non aveva alcuna memoria di massa. Non era un home computer (come si chiamavano allora) perche' non aveva ne' colori ne' suoni. Non era un computer "giocattolo" poiche' non costava poco. Insomma, non era. E non fu.

Altre due pietre biliari (la "b" al posto della "m" non e' un refuso, ma un riferimento epatico) le troviamo all'inizio dell'estate 1983: MC n. 21. Si tratta dell'Aquarius della Mattel e dal Multitech MicroProfessor MPF-II. Il primo si faceva subito notare per i suoi tasti azzurri (da questo forse il nome), ma soprattutto per essere proposto dalla Mattel, vero gigante nell'industria dei giocattoli. Era il giocattolo moderno di quell'era? Il commento dell'autore dell'articolo, Mauro di Lazzaro, a quei tempi fu: "Il nostro desiderio sarebbe quello di vederlo nei negozi in mezzo alle bambole e ai videogiochi, a simboleggiare l'aumento di importanza assunto dai piccoli computer in questi anni e il loro valore educativo". Non so quante bambole abbiano giocato con l'Aquarius, ma anche per il computer di casa Mattel non fu un gran successo.

Il MicroProfessor II, oltre ad essere un quasi compatibile Apple II (nel senso che i programmi potevano richiedere alcune modifiche minori per poter girare correttamente), era contraddistinto da dimensioni ridottissime e incorporava sul lato superiore una piccola tastiera QWERTY. Per chi non si accontentava delle ridotte dimensioni di quest'ultima era disponibile una tastiera separata di formato piu' umano, ma sempre realizzata con tasti poco convincenti.

 

Andando avanti

 

Il 1984 fu un anno molto ricco e segno' due eventi importantissimi. La nascita dei primi computer standard MSX e l'avvento del Sinclair QL, atteso dalle centinaia di migliaia di utenti Spectrum come un vero e proprio "balzo in avanti".

Lo standard MSX fu creato proprio per cercare di contrastare la supremazia Commodore e Sinclair nel campo dell'home computing. Si basava su un'architettura in parte definita dallo standard ed in parte lasciata libera alle intenzioni dei singoli costruttori che potevano maggiormente personalizzare le loro macchine. Il processore utilizzato era l'ultradiffuso Z80, il software di base era costituito dall'altrettanto famoso Basic Microsoft, il video affidato al processore Texas TMS 9918 e il generatore sonoro era basato su un AY-3-8910. Molti costruttori aderirono alla standard, la maggior parte giapponesi (tra cui Sony, Toshiba, Canon e Yamaha) uno americano (Spectravideo, il modello SV-328 fu provato sul n. 29 di MC), ma anche la Philips che piu' in la propose anche macchine particolarmente dotate sotto il profilo video.

Dal versante opposto, quello dell'assoluto rifiuto ad aderire a qualsiasi standard, il Sinclair QL si proponeva addirittura come macchina professionale, ostentando un criticabile Motorola 68008 (secondo i punti di vista poteva essere considerato sia un 8 bit, la dimensione del bus dati, che un 32 bit, la dimensione dei registri interni), ben 128 Kbyte di RAM espandibili fino ad un mega, due microdrive a nastro incorporati (e qui si' che siamo sul professionale...) e la possibilita' di connessione in rete con altri QL e con gli Spectrum. La "vera" novita' era data pero' dal sistema operativo, per la prima volta multitasking, e dal linguaggio di programmazione denominato SuperBasic che di BASIC non aveva (per fortuna) piu' nulla: si trattava, infatti, di un linguaggio di programmazione strutturato che poteva comodamente fare a meno dei terribili GOTO e GOSUB tipici della programmazione "a spaghetti".

 

L'Amiga

 

Se il 1984 fu un anno ricco, il 1985 e' da ricordare per la nascita dell'Amiga il reale successore del Commodore 64 nonche' uno dei computer in assoluto piu' venduti nel mondo. Le caratteristiche che rendevano davvero unico l'Amiga riguardavano le potenzialita' grafiche e sonore (chip custom e processori separati dalla CPU si occupavano di tali aspetti), la compatibilita' video del segnale in uscita per quel che riguarda i sincronismi, e un sistema operativo VERAMENTE multitasking con processi che dialogano tramite scambio messaggi in ambiente locale. Finalmente si affacciava nel mondo dei personal computer un sistema operativo realizzato da cima a fondo con tecniche multiprocesso, nel quale lanciare piu' applicazioni contemporaneamente non era assolutamente un'operazione strana o rischiosa. Con gli Amiga era, e', addirittura possibile lanciare piu' volte lo stesso programma, leggere un dischetto mentre se ne formatta un altro, far si' che piu' applicazioni accedano contemporaneamente all'hard disk, anche con operazioni diverse (scritture e letture simultanee). Oltre all'interfaccia grafica ad icone e finestre denominata Workbench, l'Amiga poteva contare sull'apertura di quante shell di sistema operativo volevamo, proprio come se fossero tanti terminali collegati ad un'unica unita' centrale. Peccato che l'architettura non si e' evoluta verso piattaforme multiprocessore in modo da esplicitare il parallelismo interno da simulato a reale.

Che l'Amiga fosse una macchina molto innovativa e' testimoniato anche dal fatto che gia' a quei tempi (con un anticipo di circa otto anni sulle mosse compiute oggi da Apple per i suoi Macintosh) pur utilizzando un sistema operativo proprietario, non si chiudevano le porte al gia' onnipresente MS-DOS proponendo soluzioni bipiattaforma, come il buffo Sidecar per l'Amiga 1000 o la piu' azzeccata BridgeBoard Janus per l'Amiga 2000. In entrambi i casi, non solo era assicurata la totale compatibilita' software con le applicazioni MS-DOS, ma anche dal punto di vista hardware non sussistevano problemi visto che era possibile installare anche alcune schede di espansione in standard ISA. L'Amiga 2000 del sottoscritto, quello citato all'inizio dell'articolo e ormai ridotto a poco piu' di un relitto, nei tempi di massimo splendore era equipaggiato con due hard disk (uno Amiga e uno PC) tre drive per floppy disk (due Amiga e uno PC), una scheda di rete Ethernet (PC), un'espansione di memoria (Amiga) e un Flicker Fixer. Quest'ultimo era una complessa scheda video che permetteva di eliminare lo sfarfallio dei modi grafici interlacciati, dirottando il video su un comune monitor EGA.

 

"M" come Macintosh

 

Oggi, l'unica vera alternativa alla piattaforma Intel, e' senza ombra di dubbio l'architettura Macintosh, nata anch'essa piu' di dieci anni fa ma segnata da un destino meno fortunato, almeno per quanto riguarda la sua diffusione nel mondo intero. Forse l'errore, come molti credono, e' da ricercare nell'eccessiva chiusura di Apple nei confronti degli altri costruttori ai quali ha negato, per oltre dieci anni, la possibilita' di costruire su licenza macchine Mac-compatibili. Solo da pochi mesi, con dieci anni di ritardo, Apple ha dato in licenza ad altri costruttori il software di sistema Power Macintosh e presto vedranno la luce molti prodotti compatibili con questa piattaforma.

Il primo Macintosh e' nato nell'ormai lontano 1984. Precedentemente la Apple Computer era molto nota nel campo dell'informatica personale con il suo Apple II, una macchina particolarmente espandibile e basata sul microprocessore 6502, lo stesso dei Commodore VIC-20 e 64 (quasi: in questo modello, se non ricordo male il microprocessore era leggermente diverso e si chiamava 6510). Prima di arrivare al Macintosh, ci furono due importanti incidenti di percorso: l'Apple III, proposta come macchina gestionale, fu un vero insuccesso, e il famosissimo Lisa che rappresenta il vero progenitore del Macintosh, ma non fu capito ne' accettato dal grande pubblico. Lisa aveva gia' un'interfaccia grafica e un mouse col quale interagire con il sistema operativo, ma evidentemente i tempi non erano ancora maturi per recepire una soluzione che da li' a poco avrebbe realmente rivoluzionato l'informatica personale.

Il primo Macintosh era dotato di soli 128 K di RAM, poteva contare su un processore Motorola 68000 a 8 MHz, ma soprattutto si distingueva da qualsiasi altro computer per la sua forma insolita: un simpatico parallelepipedo a sviluppo orizzontale, dal quale si affacciava un timido monitor grafico da 9 pollici in bianco e nero, trovavamo un drive ad espulsione servoassistita per gli allora innovativi dischetti da 3.5", il collegamento per una piccola tastiera separata, per il mouse e qualche altra porta di comunicazione standard presente sul retro.

La cosa piu' assurda di quel computer (questo fu uno dei miei primi commenti, pensate come avevamo le idee chiare in quel periodo) e' che non veniva fornito alcun linguaggio di programmazione. Si vociferava di un Basic in arrivo, ma la macchina nasceva (era la prima volta) non per essere programmata dall'utente, ma per essere utilizzata. Ricordo che per diversi anni continuai a considerare il Macintosh come una sofisticatissima macchina per ufficio, quale poteva essere una fotocopiatrice o una macchina per scrivere, visto anche il prezzo di vendita al pubblico tutt'altro che invitante. Macintosh, invece, era proprio un computer. Una macchina che in quanto tale deve fare tutto quello che e' inutile che faccia l'uomo. Tra un computer e un uomo c'e' una grande differenza. Solo il secondo e' dotato di creativita' ed immaginazione, mentre il primo puo' solo eseguire procedure piuttosto rigide, proprio quelle che l'uomo fa nel peggiore dei modi. E se due entita' cosi' diverse devono comunicare esistono solo due possibilita': o e' l'individuo ad imparare il linguaggio dei computer o e' il computer ad imparare il linguaggio degli individui. Prima del Macintosh ci trovavamo nella prima delle due possibilita', con il Macintosh siamo entrati nella seconda, dove successivamente si sono spostati man mano anche tutti gli altri produttori hardware e software. Eppure ancor oggi capita di sentire qualcuno, per la prima volta davanti ad un Macintosh, esclamare frasi del tipo: "Toh, anche il Mac utilizza una specie di Windows...".

Ferma restando l'impostazione generale, vera pietra miliare (questa volta con la "m", con la "b" per molti competitor) nella storia dell'informatica personale, anche i Macintosh hanno subito una profonda evoluzione, specialmente a partire dal 1987, anno in cui fu presentato il Macintosh II. Finalmente a colori, finalmente col monitor separato, finalmente con un'architettura aperta ed espandibile. L'arrivo del colore nel mondo Macintosh ha rappresentato soprattutto una rivoluzione nel mondo del software realizzato per quella piattaforma. Dalle semplici applicazioni di produttivita' personale o al massimo dal desk top publishing in bianco e nero si e' passati al vero mondo della grafica, che spazia dalla creazione di immagini di sintesi (vettoriali o bitmap) all'elaborazione e al trattamento digitale delle immagini, tanto di moda in questo periodo.

Anche il Macintosh II ha avuto i suoi discendenti, macchine sempre piu' evolute e potenti, per arrivare al 1991, anno in cui la Apple ha, finalmente, deciso di proporre le sue macchine non solo in ambito professionale (come detto soprattutto grafico) ma anche per utilizzo consumer. Sono nati cosi' i Macintosh LC, dove la sigla sta per Low Cost, basso costo. In mezzo, come era da attendersi, anche una famiglia di macchine portatili, i PowerBook: anch'essi hanno segnato la strada, soprattutto riguardo l'ergonomia, nel mobile computing.

Il resto e' storia d'oggi. Grazie al passaggio alla nuova tecnologia PowerPC, i Macintosh diventano Power Macintosh e fanno un ulteriore balzo in avanti offrendo performance di calcolo, utilizzando software nativo PowerPC, da tre a quattro volte superiori per i calcoli interi e di dieci volte superiori per quelli in virgola mobile. Un nuovo processore, questa volta di tipo RISC, ben diverso dai vari 680x0 precedentemente utilizzati, ma non per questo le nuove macchine non sono piu' compatibili con le vecchie. L'emulazione del precedente processore e' integrata nell'architettura dei Power Macintosh e l'utente non deve nemmeno preoccuparsi di dire al sistema se un'applicazione e' stata scritta per il nuovo o per il vecchio microprocessore. Il codice 680x0 viene automaticamente riconosciuto ed interpretato per renderne possibile l'esecuzione anche da parte del PowerPC.

Compatibilita' estesa, contestualmente, anche all'attuale mondo DOS/Windows, dapprima con un emulatore software fornito a corredo con le prime macchine Power Macintosh, ed ora disponibile anche a livello hardware grazie ad una scheda aggiuntiva dotata di processore Intel ed in prova in questo stesso numero di MCmicrocomputer. Centocinquanta!


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