Articolo pubblicato sul n. 172 di
MCmicrocomputer
(Edizioni
Technimedia Srl - Roma) nell'aprile 1997

Digital
Imaging:
Colore... COLORE!!!
(terza parte)
di Andrea de Prisco
Siamo giunti al nostro terzo ed ultimo "appuntamento
teorico" di Colore...COLORE, la breve carrellata di articoli
di Digital Imaging dedicati alla colorimetria. Questo mese
illustreremo e commenteremo brevemente il diagramma di
cromaticita' CIE, col quale e' possibile codificare tutti i
colori visibili utilizzando
in sintesi additiva tre
primari... invisibili. Puo' sembrare un terribile scherzo
della natura ma e' proprio cosi': il nostro apparato visivo
e' talmente tanto complicato (o lo conosciamo ancora troppo
poco, oserei dire!) che per rappresentare tutte le possibili
sfumature cromatiche dobbiamo miscelare tra loro colori
primari che, singolarmente e alla loro massima saturazione,
non riusciremmo a riconoscere o a distinguere da altri.
Ci riallacceremo, infine, al "conto lasciato in sospeso"
sullo numero scorso di MC, nel quale era stata pubblicata
una tabella cromatica che abbiamo sottoposto al nostro
spettrofotometro Colortron e al software PrintOpen ICC della
Linotype Hell per valutare lo spazio cromatico della stampa
tipografica di MCmicrocomputer. Scoprendo che...
Colori e spettro
Come andiamo ripetendo da mesi, la luce altro non e' che una
radiazione di natura elettromagnetica al pari delle onde
radio, le microonde, i raggi X e i raggi gamma. Cio' che
differenzia tutte queste radiazioni elettromagnetiche non e'
la loro natura fisica ma essenzialmente la lunghezza d'onda
(o, se preferite, la frequenza, inversamente proporzionale
alla prima) e il loro comportamento nei confronti della
materia. Le onde radio, da quelle emesse dai
radiotrasmettitori ad onde lunghe fino alle microonde,
occupano la parte bassa dello spettro elettromagnetico. In
alto troviamo i raggi X e, ancora piu' su, i pericolosi
raggi gamma. Piu' o meno a meta' strada, tra la zona degli
infrarossi e la regione degli ultravioletti, e' situato lo
spettro visibile mostrato in figura 1. L'unita' di misura
normalmente utilizzata e' il "nanometro" (miliardesimo di
metro) e si indica con "nm": a lunghezze d'onda inferiori -
minori di 500 nm - corrispondono i colori piu' freddi
(violetto-blu); a lunghezze d'onda maggiori - al di sopra
dei 600 nm - troviamo i colori piu' caldi (arancione-rosso).
En passant aggiungiamo che la temperatura colore delle tinte
e' in realta' inversamente proporzionale... ai nostri modi
di dire: le tinte generalmente indicate come "fredde"
corrispondono a temperature colore elevate e viceversa. Ma
questo, ad onor del vero, esula terribilmente dal rimanente
contesto.
Torniamo a noi: i "verdi" sono caratterizzati da lunghezze
d'onda comprese tra 500 e 570 nm, limite al di sopra del
quale incontriamo le tinte gialle. Da segnalare, inoltre,
come l'occhio non percepisca in manera lineare le differenze
cromatiche tra lunghezze d'onda differenti. Se, ad esempio,
tra 450 e 500 nm si passa dal blu al verde (due tinte ben
differenti tra loro, tant'e' che sono utilizzati come
differenti componenti primarie) lo stesso non accade tra 600
e 650 nm (e ancor meno tra 650 e 700!) in cui spaziamo
semplicemente in sfumature piu' o meno accese del rosso.
Ma c'e' un problema piu' grosso. Nello spettro visibile -
sembra un gioco di parole - possiamo individuare solo i
colori "spettrali": tinte caratterizzate da un'unica
lunghezza d'onda e per questo definite come monocromatiche.
Esistono, pero', infinite tinte non spettrali (ovvero non
presenti nello spettro) ottenute dalla miscelazione di
colori "estremi" (ad esempio rosso+violetto). Si tratta
delle cosiddette "porpore", colori ben noti in natura, ma
non riproducibili monocromaticamente, ne' ricavabili per
diffrazione da un raggio di luce bianca. Bel pasticcio!
Il diagramma CIE
Nel 1931 la Commission Internationale de l'Eclairage
(Commissione Internazionale per l'Illuminazione) ha definito
un diagramma di cromaticita' standard che comprende tutte le
tinte visibili dall'occhio umano. Si basa, come altre
codifiche di cui abbiamo parlato in precedenza,
sull'utilizzo tre colori primari che, opportunamente
miscelati tra loro in sintesi additiva, permettono di
ottenere tutti i colori esistenti in natura. A differenza,
pero', dei metodi RGB o CMY (sintesi additiva e
sottrattiva), il diagramma di cromaticita' proposto dalla
CIE non dipende dal comportamento di questo o quel
dispositivo di visualizzazione o stampa in quanto e' basato
sul concetto, al limite del filosofico-esistenziale, di
"Osservatore Standard". L'Osservatore Standard e' definito a
partire dalle proprieta' del nostro sistema visivo e si basa
su analisi sistematiche effettuate su un vasto campione di
osservatori umani. E da numerosi studi effettuati nel primo
dopoguerra, fu notata l'impossibilita' di riuscire a
riprodurre per sintesi additiva tutti i colori comunque si
scegliesse la terna di primari reali da miscelare. Solo
aggiungendo un colore primario alla tinta da codificare era
possibile individuare una terna cromatica che la
riproducesse fedelmente: fu ipotizzato cosi' che la risposta
dei nostri fotorecettori retinici (i coni) avesse un
andamento negativo per alcune frequenze dello spettro
visibile.
I primari scelti dalla CIE per generare tutti i colori
visibili sono tinte ipersature: colori (in realta', non
essendo visibili, non dovrebbero essere indicati come tali)
piu' saturi di quanto i nostri fotorecettori retinici siano
in grado di decifrare. I tre "primari immaginari", con
notevole sforzo di fantasia, sono stati denominati X, Y, e
Z.
X corrisponde a un rosso violaceo ipersaturo contraddistinto
da due picchi nello spettro cromatico rispettivamente
intorno ai 450 nm e ai 600 nm (quest'ultimo molto superiore
al primo, vedi figura 2), Y e Z corrispondono a tinte
spettrali - sempre irrealisticamente ipersature - con
lunghezza d'onda dominante rispettivamente di 520 e 477
nanometri. Inoltre la tinta Y (quella corrispondente al
"verde ipersaturo") ha un andamento proporzionale alla
nostra sensibilita' alla luminosita' delle tinte.
Scelti i tre primari tramite i quali e' possibile ottenere,
per sintesi additiva, qualsiasi tinta reale e' possibile a
questo punto utilizzare uno spazio tridimensionale, avente
per assi i tre primari utilizzati, per "catalogarle" tutte.
Buttiamo una dimensione
Per non ricorrere ad un diagramma tridimensionale e'
possibile "normalizzare" le tinte facendo in modo che la
loro somma sia sempre pari ad uno. Se X, Y, e Z sono i tre
valori che identificano un colore, X+Y+Z la loro somma, e
noi poniamo:
x = X/(X+Y+Z)
y = Y/(X+Y+Z)
z = Z/(X+Y+Z)
risulta che x+y+z (occhio alle minuscole!) e' sempre uguale
ad 1 per qualsiasi valore originario di X, Y e Z (algebra
spicciola, senza offesa per nessuno!). Da questo si ricava
tra l'altro che:
z= 1-x-y
ed e' dunque possibile utilizzare due sole coordinate
cromatiche (x e y, ad esempio) per identificare un colore
essendo la terza (z, in questo caso) ricavabile sottraendo
all'unita' le altre due.
Il vantaggio e' evidente: normalizzando i colori col
meccanismo della somma costante (uguale a 1) e' possibile
utilizzare un grafico bidimensionale per "catalogare"
qualitativamente (e non quantitativamente) tutte le tinte
reali. Ovvero tracciamo tutti i colori possibili ed
immaginabili la cui intensita' totale e' costante e pari ad
uno: tutte le altre tinte sono ottenute semplicemente
indicando, oltre ai valori x e y (il valore z si ottiene,
come detto, dagli altri due) il suo grado di luminosita'
espresso, volendo, in forma percentuale.
Tutti i colori (reali e irreali) generabili con i primari x
e y giacciono su un triangolo rettangolo (la zona nera di
figura 3) avente come vertici l'origine (0,0) il punto
massimo di x e minimo di y (1,0) e il punto massimo di y e
minimo di x (0,1). All'interno di questo triangolo
rettangolo e' tracciato il diagramma CIE dei colori reali:
una campana che racchiude tutte le tinte possibili. Al di
fuori della campana (ma sempre all'interno del triangolo) ci
sono tutti i colori non visibili o non distinguibili da
quelli presenti lungo il perimetro esterno. Il diagramma CIE
gode, proprio per il modo in cui e' stato generato, di
alcune importanti caratteristiche che andiamo ora ad
illustrare maggiormente in dettaglio.
Prima di proseguire...
... e' d'obbligo una doverosa premessa. Tutti i diagrammi
cromatici che vedete pubblicati in queste pagine hanno un
"leggero" difetto: non hanno nulla a che spartire con la
realta'. Questo semplicemente perche' sono stampati su carta
con tradizionali tecniche tipografiche e, proprio per questo
motivo, sono riprodotti utilizzando lo spazio cromatico
(assai ridotto) delle tinte riproducibili con tali mezzi.
E' richiesto, al lettore, un piccolo sforzo di
immaginazione: non cercate sui diagrammi CIE qui pubblicati
tutte le tinte possibili e immaginabili, non e' proprio
fisicamente possibile stamparle. Vedete colori piuttosto
smorti e poco vivi... pazienza! Cercate di immaginarli al
meglio e proseguite nella lettura.
L'illuminante CIE
Piu' o meno al centro del diagramma CIE e' presente un punto
(un colore), come vedremo tra breve, di importanza
strategica, indicato con la lettera "C". E' il cosiddetto
"Illuminante CIE", assunto come riferimento e corrispondente
alla radiazione emessa da una superficie bianca illuminata
da luce diurna media. Lungo il perimetro curvo della campana
si trovano tutte le tinte spettrali alla loro massima
saturazione: i circoletti grigi e i valori indicati
segnalano le lunghezze d'onda corrispondenti. Nella parte
alta del diagramma "vivono" le famiglie dei verdi; in basso
a sinistra i blu, in basso a destra i rossi. Sul segmento
rettilineo che congiunge i due vertici inferiori della
campana si trovano i colori non spettrali (o porpore) alla
loro massima saturazione. Tutti i colori non spettrali,
dalla saturazione via via decrescente, sono situati nel
triangolo delimitato in basso dal segmento delle porpore e
avente come vertice il punto C (vedi figura 4). Lo stesso
vale per i colori spettrali, situati nella rimanente parte
del diagramma: man mano che ci si avvicina all'illuminante C
i colori sono sempre meno saturi.
Per come e' costruito il diagramma, prendendo due tinte
qualsiasi, il segmento che le unisce rappresenta tutte le
possibili mescolanze additive dei due colori prescelti. Non
solo: la posizione relativa lungo il segmento di
congiunzione rappresenta la percentuale di mescolanza delle
tinte. Cosi' nel baricentro del segmento troviamo la tinta
esattamente formata dal 50% del primo colore e dal 50% del
secondo colore. Spostandoci ad esempio ai "tre quarti" del
segmento, la tinta individuata corrisponde alla somma del
75% del primo colore e del 25 % del secondo colore e cosi'
via. Lo stesso discorso vale per la sintesi additiva di tre
o piu' componenti cromatiche: le tinte ottenibili dalla loro
mescolanza sono tutte quelle delimitate dal poligono
convesso che ha come vertici i punti del diagramma che
corrispondono ai colori utilizzati.
Tornando al caso di due sole tinte, se il segmento che le
unisce passa per il punto C i colori presi in considerazione
sono tra loro complementari. Se il punto C "cade" nel
baricentro del segmento, le due tinte hanno la medesima
saturazione (e' uguale la loro distanza dall'illuminante
CIE) e sommandole tra di loro si ottiene il colore bianco.
Il diagramma di cromaticita' CIE puo' essere utilizzato,
prendendo le dovute precauzioni, anche per le mescolanze
sottrattive (come avviene per la stampa). I colori ottenuti
dalla mescolanza sottrattiva di due tinte non giacciono sul
segmento rettilineo che li unisce ma lungo un segmento
curvilineo (vedi figura 6) del quale non e' nota a priori la
forma esatta. Per tracciare la curva (il luogo dei punti
corrispondenti ai colori ottenibili dalla sintesi
sottrattiva dei due colori) e' necessario "campionare"
alcune mescolanze tipiche (ad esempio 10%-90%, 20%-80%,
30%-70%, ecc. ecc.) ed interpolare cosi' l'andamento
complessivo.
In figura 7 e' mostrato un tipico spazio cromatico di un
dispositivo RGB (quale puo' essere un monitor a colori),
delimitato dal triangolo bianco avente come vertice i tre
colori primari della sintesi additiva e un altrettanto
tipico spazio cromatico CMY (stampa a colori), delimitato
dall'esagono tracciato in grigio. Da segnalare due cose
interessanti. Innanzitutto, come facilmente verificabile
tenendo sottocchio il diagramma, proprio per la forma a
campana di quest'ultimo, comunque scegliamo i tre primari
all'interno dei colori reali non riusciremo mai a riprodurre
con essi tutte le tinte ma ne escluderemo sempre una certa
quantita'. Dunque non crediate che esistano monitor RGB in
grado di riprodurre tutto il riproducibile o scanner a
colori altrettanto superdotati. La seconda considerazione
riguarda lo spazio cromatico della stampa a colori, ridotto
rispetto allo spazio RGB ma leggermente piu' performante per
quel che riguarda la stampa delle tinte azzurro ciano.
Infine, in figura 8, e' mostrata la codifica dei colori
rappresentati dal diagramma di cromaticita' CIE in termini
di lunghezza d'onda dominante e saturazione (o grado di
purezza). Se un colore appartiene al perimetro esterno e',
come gia' detto, al suo massimo grado di purezza, se cade
all'interno del diagramma ha come saturazione la distanza
relativa la tinta e il punto C, misurata lungo il segmento
passante per il colore e congiungente il bianco col bordo
esterno. Il punto in cui il prolungamento del segmento
incontra il perimetro identifica la lunghezza d'onda
dominante della tinta considerata. Ad esempio il colore
identificato dal punto A di figura 8 e' caratterizzato da
una saturazione del 75% e una lunghezza d'onda dominante di
495 nm. Nel caso di tinte non spettrali, si indica come
lunghezza d'onda dominante quella del colore complementare,
indicandola col suffisso "c": sempre in figura 8, il colore
B ha una saturazione del 66% e come lunghezza d'onda
dominante il valore 510c.
Da CIExy a CIElab
Affascinante o indifferente, bello o brutto, utile o inutile
che sia (se siete del secondo avviso probabilmente gia' non
state piu' leggendo queste righe) il diagramma di
cromaticita' CIExy finora mostrato ha, ma non per colpa sua,
un solo "difetto". Non e' "linearmente compatibile" - mi si
conceda tale maccheronica espressione - con la nostra
percezione visiva delle differenze tra colori (eccheppalle!!!).
Fermo restando che, come gia' ampiamente dichiarato, i
diagrammi pubblicati in queste pagine sono lontani alcuni
anni luce dai diagrammi reali (a causa dei ben noti -
speriamo! - limiti cromatici della stampa tipografica) prese
alcune coppie di colori (distanti tra loro, in termini
metrici, una determinata quantita' prefissata per tutte le
coppie) in punti diversi dei diagramma potremo notare che
alcuni di essi ci sembreranno piu' simili o piu' differenti
tra loro di altri. Facciamo un esempio (sempre teorico,
vista l'impossibilita' di verificarlo realmente sulle mappe
pubblicate in queste pagine): ipotizziamo di avere un
diagramma CIExy grande dieci centimetri. Prendiamo coppie di
colori, in vari punti del diagramma, distanti tra solo -
sempre ad esempio - tre millimetri e uniamole da un segmento
di pari lunghezza. Potremmo agilmente verificare che in
alcune zone del diagramma i colori agli estremi dei segmenti
sono assai simili tra loro, in altre zone (sempre a tre
millimetri di distanza gli uni dagli altri) sono
percettibilmente molto diversi.
Nelle zone alte del diagramma (vi dovete fidare come mi sono
fidato io di alcuni documenti CIE), a parita' di distanza, i
colori sono assai piu' simili tra solo di quanto succeda
nelle zone basse, in particolar modo verso l'inizio dei
colori spettrali puri (zona del blu-violetto).
Nel 1976 (ben 45 anni dopo il primo diagramma e ormai agli
albori della rivoluzione informatica dei giorni nostri) la
CIE ha partorito un nuovo diagramma denominato UCS (Uniform
Color Scale) direttamente derivato dal primo "semplicemente"
rimappando i colori in modo tale da risultare tra loro
equidistanti a parita' di differenza percettiva. Realizzata
la nuova mappa cromatica, hanno visto la luce
contemporaneamente due nuove codifiche denominate L*a*b* e
L*u*v*, la prima indicata per sintesi additiva, la seconda
per la sintesi sottrattiva. Focalizziamo l'attenzione sulla
prima della due. Nella nuova codifica L*a*b* (che d'ora in
poi chiameremo Lab) i colori vengono disposti all'interno di
uno spazio tridimensionale i cui tre assi sono "L", "a" e
"b". "L" identifica la luminosita' e puo' avere solo valori
positivi, di solito da 0 a 100, ma puo' essere utilizzata
anche una risoluzione diversa (ad esempio da 0 a 255 per
sfruttare l'intera capacita' degli otto bit). "a" e "b" sono
le caratteristiche cromatiche: con la prima si spazia dal
verde al rosso, con la seconda dal blu al giallo. Il loro
range di valori varia di norma da -300 a +300, ma anche in
questo caso possono essere utilizzate risoluzioni
differenti: Photoshop, ad esempio, utilizza come range di
valori quello compreso tra -128 e +127, impiegando anche per
questi 1+1 byte per la loro codifica.
Definito uno spazio cromatico percettibilmente uniforme e'
possibile misurare in maniera piuttosto agevole quanto siano
"distanti" tra loro due colori, ovvero quanto siano tra loro
diversi. Nasce cosi' il ∆E (Delta E) che rappresenta la
distanza euclidea tra due qualsiasi tinte dello spazio
cromatico CIElab che, per come e' stato costruito (a partire
dal CIExy), e' indipendente dal dispositivo utilizzato per
la visualizzazione.
Tutto (ma proprio tutto...) cio' premesso, siamo andati a
verificare...
La stampa di MC
Per la stampa di MCmicrocomputer (cosi' come per MC-digest,
AudioReview, ACS-audiocarstereo, Orologi e per le nostre
pubblicazioni annuali) ci appoggiamo ad una tipografia
industriale situata nei pressi di Roma (Grafiche P.F.G., di
Ariccia) che utilizza macchine rotative per la stampa in
quadricromia (ma guarda un po'...) capaci di produrre
finanche 25.000 copie l'ora. La velocita' di stampa,
infatti, puo' essere anche aumentata (a discapito della
qualita' e/o quando si ha particolare fretta) o diminuita
per produrre risultati ai massimi livelli o con tipi di
carta particolare: per MCmicrocomputer la velocita'
utilizzata e' di circa 20.000 copie l'ora. Ogni foglio di
stampa, a seconda della macchina utilizzata, puo' contenere
16 o 32 pagine della rivista (i cosiddetti "sedicesimi" o
"trentaduesimi") e dalle "bobinone" di carta che alimentano
tutto il megadispositivo si ottiene in uscita il
fascicoletto di pagine gia' ripiegato su se stesso pronto
per la rilegatura (allestimento). Il primo colore stampato
e' il ciano, segue il magenta, il giallo e infine il nero.
All'uscita dell'ultima unita' di stampa, la carta (ancora
non tagliata) passa prima in un forno di essiccazione per
asciugare i colori, poi su rulli di raffreddamento per
abbassare la temperatura e, prima dell'operazione di taglio
in sedicesimi o trentaduesimi viene applicato uno strato di
silicone per ottenere una resa piu' brillante dei colori. Il
tutto avviene ad una velocita' incredibile: non si capisce
come fa a non bloccarsi tutto durante la lavorazione. Al
volo viene finanche sostituita la bobina di carta senza mai
fermare per un solo attimo la stampa: poco prima che si
esaurisca completamente una delle due bobine viene
accumulato in un apposito buffer meccanico una quantita' di
carta sufficiente ad assicurare, in alimentazione, alcuni
secondi di autonomia per effettuare, sempre automaticamente,
la giuntura dei due rotoloni.
Un sistema completamente automatizzato (e gestito,
immancabilmente, da un computer) tiene sempre "a registro"
le quattro unita' di stampa per i quattro colori,
effettuando continuamente minime correzioni in basse anche
alla piu' piccola oscillazione di tensione della carta. Da
segnalare, infine, che la stampa effettiva di ogni
sedicesimo o trentaduesimo contempla alcune migliaia di
copie iniziali di scarto (di avviamento, non utilizzate per
la rivista) che vengono letteralmente sprecate per
effettuare tutte le regolazioni fino ad ottimizzazione della
stampa. In piu', durante la lavorazione, sono continuamente
prelevati campioni per verificare (alla luce di
un'illuminazione stabile e calibrata) la corrispondenza
cromatica con gli originali di riferimento (cromalin)
forniti alla tipografia assieme alle pellicole.
Ed e' proprio li' che siamo andati a mettere il naso...
Il ∆E di MC
Grazie alla squisita disponibilita' e collaborazione dei
responsabili e dei tecnici di Grafiche P.F.G. sono stati
prelevati alcuni campioni di stampa ad intervalli regolari,
per la precisione ogni 10.000 copie in uscita. Ovviamente,
come riferimento e' stato preso il "sedicesimo" contenente
il precedente articolo di Digital Imaging (pubblicato su
MCmicrocomputer di marzo) nel quale, come avete avuto modo
di notare, abbiamo inserito la tabella cromatica del
pacchetto PrintOpen ICC della Linotype Hell (distribuito
dalla Modo di Reggio Emilia). Con questo e col cromalin
corrispondente a quelle pagine, abbiamo effettuato due
distinte misurazioni, utilizzando lo spettrofotometro
Colortron della Light Source. La prima ha riguardato la
misurazione dello spazio cromatico della stampa tipografica
di MCmicrocomputer e la costruzione (sempre grazie a
PrintOpen) del profilo ColorSync corrispondente. Questo ci
servira', in futuro, per avere uscite calibrate con il reale
processo di stampa.
La seconda misurazione ha riguardato alcune tinte
selezionate dalla tabella cromatica (i livelli di grigio, i
gialli, i rossi, i blu) sui campioni prelevati durante la
stampa. Come era facilmente prevedibile, durante le
cinque-sei ore di funzionamento della macchina tipografica
per la stampa di quel sedicesimo rileviamo si' delle
oscillazioni cromatiche, ma sempre estremamente contenute.
L'oscillazione massima si e' avuta tra le cinquanta e le
sessantamila copie in cui il ∆E ha superato di poco il
valore di 3.5. Si tratta di un risultato a dir poco
eccellente: le stampanti "domestiche" (non calibrate)
possono anche fornire ∆E di 20 o addirittura di 30 senza
che... ci arrabbiamo piu' di tanto. Solo i dispositivi
tecnologicamente piu' evoluti scendono al di sotto di 6 o 7
∆E, valori sotto ai quali comincia ad essere difficile
valutare ad occhio nudo differenze cromatiche se non
confrontando l'una accanto all'altra e per alcuni secondi le
due immagini. Come dire: complimenti per la stampa!
Articolo pubblicato
su
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